Lo stato dell’arte: i 5 artisti italiani del momento (10 febbraio 2022)

Nella foto: Video proiezione “Lumbung Orationes” (Neue Nationalgalerie, Berlino 2022)

 

Marinella Senatore

Molto attiva negli ultimi mesi con le sue azioni performance dove invita associazioni e gruppi disparati a interagire liberamente dentro al museo. L’artista dichiara intenti femministi e di arte partecipativa. Le opere formalizzate in gallerie e fiere però sembrano una forma di Pop Art che pone lo spettatore in una condizione contemplativa e passiva. Allo stesso tempo non basta disegnare su carta una protesta femminista per fare “arte femminista”. L’artista, che oggi vuole affrontare certi temi politici e sociali, deve essere consapevole di un contesto dove un ragazzino della California può fare molto di più con un video amatoriale che diventa virale. Il mondo dell’arte, e non solo, è alla continua ricerca di valori e quindi la lotta ecologista, il femminismo, le problematiche di gender e la necessità di sostenere culture bistrattate, diventano etichette estremamente comode da appiccicare sopra le opere. Come dimostra Chiara Ferragni e l’azione di Greta Thunberg, ogni azione simbolica rischia di essere soffocata da un sovraccarico di contenuti o informazioni. Anche la recente azione femminista di Chiara Ferragni al Festival di Sanremo, nonostante abbia raggiunto milioni di persone, tra pochi giorni sarà dimenticata. Pertanto l’artista deve fare un lavoro culturale molto più profondo che abbia la capacità di far allenare nuovi occhi e risolvere un problema che è fondamentalmente culturale. Nonostante le nostre ricerche non si capisce cosa sia la sua “Scuola di Narrative Dance”, e come abbia potuto coinvolgere nel mondo 6 milioni di persone, come dichiara l’artista stessa a ripetizione. Sembra il caso di un affascinante storytelling che però non trova corrispondenze nelle opere che sembrano piuttosto sviluppare un pop art molto distante dalle istanze di arte partecipativa e femminismo.

 

Claire Fontaine

Pur sviluppando un’azione concettuale interessante, che però rischia di diventare Smart Relativism, permangono all’interno di un recinto culturale elitario che riesce ad affrontare alcune problematiche in modo ristretto e simbolico. Hanno realizzato la scritta sull’abito Dior di Chiara Ferragni: “pensati libera” (citazione non loro…). Tutto bene, ma il rischio è quello di una semplificazione che non considera alcune resistenze politiche e sociali: una mamma che subisce violenza in casa potrebbe non avere la possibilità di “sentirsi libera” per motivi economici, lavorativi e sociali. Ancora una volta l’arte deve fare un lavoro culturale più profondo e complesso se vuole affrontare certe tematiche, al di là dell’effetto spettacolare e simbolico che comunque va benissimo.

Maurizio Cattelan

Recentemente ennesima grande retrospettiva a Seul dove assistiamo ad una carrellata di tutti i suoi lavori più famosi che però, installati tutti insieme, tendono a depotenziarsi a vicenda. La stessa cosa fatta al Guggenheim di New York nel 2011 era molto più efficace perché metteva tutte le sue opere sospese e quindi in discussione. Questa autoanalisi, al di là della bella provocazione della banana, non ha sortito grandi effetti: l’artista ha realizzato la sua ultima opera significativa solo nel 2001 (Him) e quindi langue da almeno 22 anni. Negli ultimi anni vive di rendita con opere tutte profondamente legate alla sua produzione anni ’90. Pur riuscendo ad avere buone opportunità per sostenere il suo mercato, l’artista, bianco e occidentale, non è riuscito ad aggiornare la sua pratica alla stretta contemporaneità: a parte l’operazione della banana da 120 mila dollari (Comedian, 2019) che comunque è una “non opera”. Aspettiamo da lui qualcosa di più che tante “retrospettive anni 90” in Asia dove l’artista star bianco e occidentale risulta ancora avere buon appeal esotico.  

Yuri Ancarani

Molto sostenuto dallo stesso Cattelan una decina di anni fa, riesce ad affermarsi come artista e regista tra cinema e arte contemporanea. Molto bene il suo recente Atlatide. Meno bene quando scivola eccessivamente nella dimensione da documentario, come nel film “Leonardo”. L’aiuto di Cattelan, che lo proponeva sistematicamente in molti ambiti (Moma, Guggenheim, Galleria Zero, produzione di film), ha sicuramente aiutato una ricerca meritevole che forse dovrebbe avere il coraggio di abbandonarsi nel cinema, dal momento che la sua presenza in musei e gallerie appare, per molti aspetti, forzata.

Gian Maria Tosatti

Le pubbliche relazioni che ha saputo macinare durante il periodo Covid portano i riflettori su una ricerca che prima del 2020 era presente ma marginale in Italia. In pochi mesi diventa unico artista del Padiglione Italia 2022, Direttore della Quadriennale 2022 e protagonista di un solo show nel 2023 presso Hangar Bicocca a Milano. Tutti questi onori allo stesso tempo in Italia, dove non riusciamo a fare in modo trasparente neanche i concorsi pubblici ultra controllati, e senza un lavoro artistico e un curriculum importanti, fanno necessariamente pensar male. Il suo Padiglione Italia 2022, anticipato da dichiarazioni che definivano la guerra in Ucraina “una cazzata, perché in realtà non ci stiamo evolvendo” (sue parole durante la conferenza stampa del Padiglione Italia 2022), è apparso ricco di contraddizioni, risultando come una costosa e pretenziosa scenografia teatrale. Tosatti parla di “non evoluzione” del sistema occidentale, quando questo dato è sbagliato dal punto di vista storico. Parla di declino industriale italiano quando il mondo dell’industria e lo stato italiano, lo finanziano per oltre due milioni di euro nella produzione del Padiglione. Vorrei sapere quanti paesi non occidentali avrebbero sostenuto un progetto artistico critico verso il paese stesso. Il Padiglione appare ripiegato sul vintage e sulla nostalgia del passato, perseguendo quella che è ormai diventata una facile moda (Sindrome del Giovane Indiana Jones). Le lucciole che Pasolini avrebbe voluto negli anni ’70 in cambio della Montedison, sono finte,  artificiali e alimentate dall’energia elettrica,  protagoniste di una spettacolarizzazione fine a se stessa quanto poco incidente. Forse questa costosa scenografia (2 milioni di euro) poteva diventare il luogo perché accadesse qualcosa, ma questa, ovviamente, sarebbe stata un’altra storia.