LE 3 MIGLIORI OPERE D’ARTE DEGLI ULTIMI 11 ANNI

Quali sono le opere d’arte più significative rispetto la più stretta contemporaneità? Diciamo gli ultimi 11 anni. Più che indicarne una mi sembra più interessante metterne in relazione tre realizzate rispettivamente nel 2012, 2013 e 2019. Partiamo dal presupposto che chi scrive nel 2009 ha dovuto stimolare, in modo autonomo, un contesto critico assente che ancora oggi caratterizza la crisi dell’arte strettamente contemporanea. Le opere d’arte rischiamo di essere secondarie rispetto alla “dittatura e al doping delle pubbliche relazioni” orchestrate da curatori, giornalisti, artisti, critici, galleristi, collezionisti, ecc. Quindi per risolvere quella situazione era necessario un fantoccio (Luca Rossi) che potesse vivere e impersonificare tutti i ruoli del sistema contemporaneamente. Lamentarsi è facile, è necessario “vivere come le cose che dici” (Alda Merini) e sviluppare quindi una progettualità coerente con la critica al sistema che si cerca di argomentare.

Nel 2012 si spengono le luci in un luogo di Documenta 13 a Kassel. Una volta entrati, al buio, dei vocalizzi su più toni e dei movimenti di molte persone percepibili nel buio, dirottano il mio movimento, la mia percezione. Siamo completamente al buio. Il titolo è “This variation” di Tino Sehgal. Un’opera completamente al buio, come entrare dentro la particella di un dipinto, al buio. Come essere completamente dentro l’opera. Un momento magico di decompressione rispetto quel bombardamento di informazioni, opere e contenuti che già nel 2012 iniziava ad essere evidente. Come in tutte le opere di Tino Sehgal non è possibile alcuna documentazione, l’opera può solo essere vissuta, raccontata, o scritta esattamente come sto facendo io. Questa scelta dell’artista riattiva la parola, il “discorso”, qualcosa di ancestrale che lo tsunami digitale di cui siamo artefici e vittime, tende ad annientare ogni giorno. Il “discorso” è fondamentale per mantenere viva la democrazia, la nostra umanità, l’equilibrio del nostro privato, la nostra capacità di allenare nuovi occhi. Infatti se ci pensi non abbiamo bisogno di esprimerci, lo facciamo fin troppo; la comunicazione e il mondo digitale ci costringono, per poter esistere un po’ di più, a comunicare in modo incessante: ma è come se fossimo in 1000 persone dentro una stanza, non si comunica niente e non si capisce niente. Le forze della repressione favoriscono questa comunicazione, favoriscono anche la protesta, tanto sanno che questa non porterà da nessuna parte e servirà per farci sfogare e stancare. L’opera di Tino Sehgal non solo era bellissima ed emozionante (ma per capirlo puoi solo farne esperienza dal vivo), ma era un dispositivo di resistenza alle gravi degenerazioni del nostro tempo e una scintilla per riaccendere la nostra umanità.

 Ovviamente negli anni successivi il mondo e il sistema dell’arte se ne fregano e continuano a produrre opere, contenuti e informazioni incessantemente. L’orizzonte dell’arte dovrebbe essere la Vita e non la produzione bulimica e acritica di opere d’arte da vendere nel minor tempo possibile. Scrivo questo non per un dogma etico-morale ma soprattutto per gli interessi più utilitaristici del sistema “arte contemporanea” che, tolto moderno e anni ’90, vive una crisi profonda. Nel 2019 Maurizio Cattelan attacca con uno scotch grigio una banana all’interno dello stand della Galleria Perrotin che partecipava alla Fiera d’Arte Contemporanea Art Basel Miami. La degenerazione del sistema ha bisogno di luoghi e pubbliche relazioni per dare valore alle opere e quindi trasformare qualsiasi cosa in denaro, anche un banana. Una sorta di criptovaluta fatta in casa, dove anche una banana dentro uno stand di Art Basel può costare 120.000 dollari. E anche se la banana marcisce, la sacralità eterna è data dal suo certificato di autenticità che è la vera banconota da 120.000 dollari. In fondo basta che uno o due amici dell’artista acqustino 2-3 banane (l’opera era in 3 esemplari) affinchè la terza o la seconda banana vengano subito vendute, ma forse non serve nemmeno questo meccanismo: l’operazione è talmente estrema che subito diventa virale su i social e anche il collezionista più dubbioso non vede l’ora di sfoggiare il suo certificato di autenticità. L’opera si intitola “Comedian”, comico. Oltre a farci fare una risata (non poco di questi tempi) ci dice che siamo tutti scimmie che giocano fuori e dentro i social con una banana in mano. Anche io in questo momento mi sento come una scimmia urlante che picchia i tasti sulla tastiera. Siamo tutte scimmie che saltano e gozzovigliano intorno ad una banana come idolo sacro di una società fallocentrica (anche quando diretta da donne) e dedita ad una continua necessità di prestazione. Il filosofo Byung-chul Han parla proprio di “società della prestazione” dove, a differenza del secolo scorso, ognuno di noi è contemporaneamente controllato e controllore, e dove anche la pausa pranzo o il rito dell’aperitivo sono parte integrante della prestazione. Una società che ha perso contatto con il suo tempo, il tempo sacro (le feriae). Cattelan, come suo solito, ci vuole strappare una risata ma anche innescare una riflessione profonda che probabilmente neanche l’artista conosce fino in fondo. Riesce a fare questo criticando il sistema, superandolo, usandolo, usando la viralità di internet, ma indicando anche un’opera che probabilmente abbiamo già in casa nostra e che non stavamo vendendo: una banana e uno scotch che potete trovare in qualsiasi negozio del “fai da te”. In altre parole arriva a farci allenare “nuovi occhi”. Poi Cattelan può piacere o meno, ma la sua attitudine è ben definita. Se Tino Sehgal dopo il 2012 entra in una crisi profonda, e i suoi interventi si banalizzano e rischiamo di scivolare in prevedibili forme di teatro danza, anche Maurizio Cattelan vive una crisi profonda a partire dal 2001, e si salva vivendo di rendita sul suo passato e con questa unica scintilla proprio nel 2019.

Per quanto riguarda la migliore terza opera degli ultimi 11 anni, sono un po’ imbarazzato, perchè l’ho fatta io! 🙂 Vi assicuro che non scrivo questo a cuor leggero anche perchè sono consapevole della fatica che è stata necessaria. L’opera è del 2013 e ci sono voluti 4 anni di critica quotidiana che mi hanno attirato ostracismo, isolamento, insulti per via delle mie argomentazioni critiche. Non so quanti artisti al mondo abbiamo impiegato 4 anni per fare un’opera d’arte, attenzione NON per realizzarla, ma per decidere di farla.
Un percorso critico e progettuale difficilissimo che ha avuto come prima vittima proprio me stesso, e quello che ero io prima di “Luca Rossi” come parte del sistema che avevo iniziato a criticare (non per distruggerlo ma per migliorarlo). La cosa divertente è che quest’opera la puoi fare anche tu dove ti trovi in questo momento: prendi un qualsiasi foglio di carta e scrivi “IMG” e i primi 4 numeri della tua data di nascita. L’opera che hai in mano ha come titolo: “Se non capisci una cosa cercala su YouTube”. Quella che hai in mano sembra la cosa più debole e inutile del mondo, soprattutto se paragonata alle grandi opere dell’uomo sulla terra, a Michelangelo, Caravaggio, alle opere super pop e luccicanti di Jeff Koons. In realtà quello che hai in mano è il varco esclusivo per una sorta di “Cappella Sistina” contemporanea capace di contenere tutto: l’arte, la performance, la vita, qualsiasi cosa. Quel foglio di carta è immobile, ma in realtà l’opera che hai in mano cambia ogni giorno perchè nel mondo aumenteranno sempre i video che hanno come titolo IMG e i primi 4 numeri della tua data di nascita. L’opera che hai in mano rappresenta una forma di “ecologia dell’arte” che non alimenta l’inquinamento di contenuti in cui viviamo ma che ci suggerisce una modalità per gestire e ordinare i contenuti già prodotti nel mondo. Si tratta di un’opera “alter moderna” che apre una nuova fase (evidente fuori dai musei da più di 20 anni), e che non si concentra sul contenuto (moderno e postmoderno) ma su un sistema di informazioni capace di gestire al meglio i contenuti; spesso poco rilevanti, esattamente come una banana. Guardando quel foglio di carta siamo al buio come nella stanza di Tino Sehgal nel 2012. Solo attivandoci seguendo il titolo possiamo scoprire la forza di quest’opera che rappresenta anche una forma di resistenza all’algoritmo che ci propone sempre contenuti conformi a noi stessi: la lista di video a cui porta il foglio che hai in mano cambia ogni giorno ed è completamente inaspettata. Addirittura puoi contribuire all’opera facendo un video e caricando su YouTube con il soggetto del foglio di carta che hai in mano. Guardare i video a cui portano queste opere rappresenta di per sé una “forma di fitness” per allenare nuovi occhi. L’opera che hai in mano sarà diversa, fra 10, 20 o 100 giorni.