Da una decina di anni ognuno di noi è produttore e consumatore di milioni di contenuti. Il problema non è creare l’ennesimo contenuto, l’ennesima opera d’arte, l’ennesima informazione, semmai fasulla, ma trovare modi per gestire questa enorme quantità di contenuti,  opere e informazioni che rischiano di anestetizzarci e soffocarci. Allo stesso tempo siamo costretti a diventare noi stessi “contenuto e informazione” per esistere un po’ di più. Siamo costretti a diventare la superficie colorata del nostro cellulare; “la generazione Tinder” mette tutte le informazioni sullo schermo del cellulare, lì avviene il “corteggiamento”, tagliando fuori ogni relazione umana spontanea, come far crescere un fiore tirandolo; tornano alla mente le serigrafie colorate di Andy Warhol: al di là della superficie colorata delle zuppe Campbell c’era polvere, minestra liofilizzata, il vuoto, un senso di morte. La ripetizione ossessiva e alienante delle Marylin di Warhol, costrette – come molti di noi – a diventare solo superficie colorata, al di là il vuoto totale. Se non siamo buoni “Social Media Manager” e non esistiamo su internet, sentiamo di esistere un po’ di meno, preferiamo “condividere” esperienze che “vivere” esperienze. Gilles Deleuze diceva che non abbiamo bisogno di esprimerci, lo facciamo fin troppo; abbiamo bisogno di interstizi di solitudine e silenzio per dire finalmente qualcosa di vero. 

Per via di questo inquinamento e sovraccarico di contenuti, di cui siamo tutti artefici e vittime, qualsiasi cosa mettiamo sul piedistallo della rappresentazione ha già le gambe già tagliate in partenza. Sul piedistallo dell’opera d’arte nulla può incidere realmente, al di là di una superficiale giornata al museo; soprattutto in un mondo dove la realtà, veicolata e remixata dalla comunicazione digitale, diventa molto più interessante di qualsiasi opera di fantasia. Dopo la data storica dell’11 settembre 2001 il linguaggio dell’arte contemporanea entra in crisi, ed è costretto ad un’operazione nostalgia dove vengono recuperati gli artisti dimenticati del Novecento e dove i più giovani, per essere accettati, devono rielaborare il passato e l’estetica del reperto archeologico (la Sindrome del Giovane Indiana Jones).

Non esiste un sistema critico vitale nell’arte contemporanea, perché se esistesse dovremo ridimensionare (valore artistico e  prezzi) il 98% delle proposte legate agli artisti emersi negli ultimi 20 anni. Questa cosa non conviene ai collezionisti che sono i clienti migliori del mondo perché non protesteranno mai per non rischiare di svalutare i propri acquisti; non conviene ai galleristi che dovrebbero rivedere tutte le loro scelte degli ultimi anni; non conviene ai curatori che vivono compiacendo il sistema; non conviene agli artisti che rischierebbero di venire fortemente ridimensionati da un sistema critico vitale. Un sistema critico vitale potrebbe interessare al pubblico che però negli ultimi anni viene tenuto a debita distanza,  e mantenuto in una condizione di soggezione e analfabetismo, per cui fare certe domande viene considerato stupido e inaccettabile. 

D’altronde perché fare fatica, con la critica d’arte, quando qualsiasi cosa viene buttata in uno stand di Art Basel o in alcuni luoghi “speciali” assume automaticamente valore e quindi prezzo? Ecco che le opere d’arte oggi sono fatte di una materia fatta di luoghi e pubbliche relazioni. Se immaginiamo i raggi del sole come relazioni tra persone quando questi raggi incontrano un luogo, ecco apparire l’opera d’arte. Luca Rossi realizza questa foto nel 2011 in una galleria di Varsavia. I quadri di luce si muovono costantemente, cambiano in base alle stagioni, ma soprattutto nascondono un grande vuoto, perché in realtà la galleria è completamente vuota. Solo il senso critico può salvarci da questo vuoto e opporsi alla dittatura di luoghi e pubbliche relazioni. In altre parole solo il senso critico oggi può far riapparire l’opera. Ecco che il museo non è un luogo ma sta nella nostra capacità di allenare nuovi occhi,  ossia allenare il senso critico che poi direziona anche la nostra vita quotidiana. Diversamente stiamo guardando un grande vuoto mascherato da pieno. Ed è proprio questa la sensazione passeggiando per fiere d’arte contemporanea come Art Basel, e manifestazioni come la Biennale di Venezia e Documenta: migliaia di opere da vedere in poco spazio e in poco tempo, e  che ci lasciano solo un senso di stordimento senza poter ricordare nulla di loro. Se non forse il nome del curatore. Ecco allora che in questo stordimento di contenuti e opere, diventa rassicurante aggrapparsi al passato, sia per il collezionismo che per il pubblico che per gli addetti ai lavori. 

Al contrario di quello che dicono in molti è perfettamente possibile argomentare il valore di un’opera d’arte. Esattamente come è possibile farlo per un bicchiere d’acqua o per qualsiasi opera umana. È sufficiente mettere in relazione l’opera alle intenzioni dell’artista (espresse dal titolo, dai materiali e da eventuali sue dichiarazioni) e poi al contesto economico, sociale, culturale e locale. E poi ancora mettere in relazione questa riflessione con la storia dell’arte che ovviamente bisogna conoscere, soprattutto nella sua parte moderna che conferisce l’alfabeto necessario per comprendere l’arte contemporanea. Il valore dell’opera NON sta nell’opera ma in una nuvola MAV (modi, attitudini, visioni) da cui le opere precipitano. Modi, attitudini e visioni che possono avere un valore concreto per la nostra vita. Ecco svelato il “Mistero di Pulinella”. Essere impantanati in linguaggi derivati ed omologati, come molti artisi emersi negli ultimi 20 anni, significa proporre opere che discendono da una nuvola MAV di 70 anni fa’, come curare la polmonite con tecniche di 70 anni fa, in parte potrebbe funzionare ma staremo perdendo grandi opportunità. L’arte di qualità può essere una palestra per allenare “nuovi occhi”, vedere valori nuovi dietro alle cose, fare scelte diverse, rivalutare i nostri bisogni, ridefinire il concetto di “crisi” e quindi combattere con successo il concetto di crisi più convenzionale. 

È ovvio che per coloro che sono analfabeti rispetto all’arte moderna e contemporanea, un’opera di un giovane artista che scimmiotta Alberto Burri o Jannis Kounellis potrebbe apparire interessante. Ma sarebbe come se oggi in un ospedale la polmonite venisse curata con metodi di settanta anni fa, con modi e attitudini di 70 anni fa: potrebbero essere in parte efficaci ma vorrebbe dire perdere grandi opportunità rispetto ai progressi della medicina moderna. Ma attenzione, non si tratta di stimolare un’arte d’avanguardia o innovativa ad ogni costo, quanto “forme consapevoli” in cui esiste una coerenza tra intenzioni, progetto e contesto. Il valore dell’arte non sta nelle opere ma nella nuvola M.A.V. (modi, attitudini e visioni) da cui le opere precipitano e di cui le opere sono testimoni. Possedere in casa un’opera è come avere una persona in salotto che ogni giorno ci ricorda qualcosa di utile per la nostra vita, questa comunicazione avviene in modalità consce ma anche inconsce. 

Luca Rossi sviluppa queste riflessioni a partire dal 2009, e da questo lavoro critico viene generata una progettualità coerente. Non solo progetti artistici non convenzionali, che ripensano all’idea di museo, artista e opera d’arte, ma anche progetti legati alla formazione degli artisti e soprattutto alla divulgazione dell’arte contemporanea verso un pubblico più vasto. Nel 2016 nasce la “Luca Rossi Academy” che propone programmi personalizzati e one-to-one per la formazione per artisti e curatori. Nel 2018, da un’esperienza sviluppata sul campo fin dal 2010, nasce il progetto “Alberto Angela” dove la retorica del famoso divulgatore viene applicata, in modo non convenzionale, alla divulgazione dell’arte contemporanea.

Infatti il problema del sistema dell’arte contemporanea in Italia e all’estero è di tipo formativo e divulgativo. In particolare un sistema critico vitale, dove la critica d’arte non è qualcosa di polveroso da relegare nelle aule delle accademie, potrebbe aiutare sia la formazione degli artisti che la creazione di uno spazio di opportunità per interessare e appassionare un pubblico più vasto. Dopo anni di deserto critico se oggi in questo momento dove ci troviamo, piombassero opere di qualità non le potremo riconoscere. Quindi parallelamente alla formazione e alla ricerca della qualità, è necessario stimolare un gusto che possa riconoscere questa qualità. Diversamente gli “artisti di qualità” saranno costretti a dedicarsi ad altro non trovando la possibilità di essere supportati.

Oggi possiamo definire almeno 7 linee progettuali che Luca Rossi sviluppa dal 2009:

Hidden Works 2014

Lumbung Orationes 2022

Fingertips Sculptures 2009

IMG Serie 2013

Site specific (Black Mirror, Thermal Refuge, Senanque Project, Yuo) 2013

Whatever you want 2021

Order a pizza + IMG Serie 2023

Questi ingredienti servono a scardinare un’idea di museo arenata nel ‘900, ma soprattutto una definizione di artista anacronistica e costretta ad assumere posture rigide e nostalgiche. Avremo nuovi musei probabilmente quando avremo nuovi artisti e nuove opere d’arte, ma non è possibile alcuna evoluzione all’interno di un sistema dell’arte contemporanea completamente chiuso ed autoreferenziale. Un sistema che per prosperare non ha bisogno di qualità e di pubblico. Un sistema fondato su quattro fondamenti che possono richiedere denaro senza essere mai sottoposti ad un giudizio di qualità.

(1) Il denaro pubblico non richiede mai un giudizio di qualità sull’arte contemporanea considerata di nicchia, e per la quale non è neanche richiesto strappare molti biglietti; (2) i collezionisti che sono i migliori clienti al mondo e che non andranno mai a mettere in discussione i propri acquisti e che quindi tenderanno a consolidare dinamiche sballate; (3) l’arte contemporanea usata come strategia per campagne pubblicitarie volte a rinfrescare o riqualificare il brand di turno; (4) l’arte contemporanea utilizzata come modalità per ottenere sgravi fiscali e coltivare pubbliche relazioni. Patrizia Sandretto Re Rebaudengo senza l’arte contemporanea sarebbe stata solo una signora benestante figlia di un grande commerciante con il Sud America, oggi tramite la collezione che ha saputo creare negli anni entra nei consigli di amministrazione, può andare a parlare col Ministro della Cultura, è nell’organizzazione dei giochi olimpici. Il suo status sociale è aumentato enormemente proprio grazie all’arte contemporanea. E tutto questo al di là di un giudizio qualitativo che viene dato per scontato.

Hidden Works (2014 – ongoing) > https://www.documenta.live/art-basel-honk-kong/

Il valore di questo progetto non è tanto nel parlare di Museo Diffuso o Open Source, concetti già affrontati negli anni, ma sta nella capacità di realizzare effettivamente un museo diffuso e accessibile, resistendo ad alcune degenerazioni del mondo contemporaneo che rischiano di soffocare l’effetto sorpresa e la nostra immaginazione. Infatti è possibile personalizzare un’opera d’arte scegliendo tre artisti moderni o contemporanei da far incontrare nella stessa opera. Questa scelta riattiva l’immaginazione del collezionista, l’effetto sorpresa e il valore dell’attesa, in quanto l’opera viene vista solo una volta che arriva a casa dell’acquirente. La scelta di far incontrare realmente tre artisti, come se potessero parlare allo stesso tavolo, crea un cortocircuito e va a destabilizzare i linguaggi derivativi che caratterizzano sempre di più il contemporaneo. L’incontro “forzato” di tre o più artisti, porta a soluzioni così inaspettate da diventare effettivamente una forma di allenamento e di fitness per i nostri occhi e la nostra mente. 

Lumbung Orationes (2018-2022) > https://www.documenta.live/6-2/

Questo progetto, attraverso una dinamica d’opera unica nella storia dell’arte, affronta alcuni temi che pongono l’individuo in relazione alle moltitudini e al senso di mistero e trascendenza. Il progetto presentato in concomitanza con Documenta 15 nel 2022, tramite una sofisticata campagna di indicizzazione su Google, ha raggiunto 290.000 persone nel mondo. 

Fingertips Sculptures (2009-ongoing) 

Queste opere nascono nel 2009 e a posteriori ci accorgiamo che già in quegli anni anticipano e superano tutta la filosofia NFT che nasce solo nel 2014-2015. Sono opere che possono vivere solo sulla superficie del nostro schermo e quindi non sono manipolabili dalla comunicazione digitale. Queste sculture vivono solo nell’istante in cui le guardiamo sullo schermo e mettono in relazione la cultura digitale con un’attitudine quasi primitiva.

IMG Serie (2013 – ongoing) > https://www.documenta.live/images-serie/

Queste opere, declinate in diversi contesti dal 2013, non propongono l’ennesimo contenuto ma un varco esclusivo ad una lista di video in quotidiana crescita. Sono il varco ad una sorta di “Cappella Sistina” contemporanea dove lo stesso spettatore può partecipae e che se da un lato rappresentare la condizione “fluida” e imprevista del nostro presente, dall’altro è una forma di resistenza dalla “dittatura dell’algoritmo”. 

Site specific (Black Mirror, Thermal Refuge, Senanque Project, Yuo) 2013 > https://www.documenta.live/site-specific-projects/

Una serie di interventi site specific e non premeditati che dimostrano come il museo stia nella nostra capacità di allenare nuovi occhi. Questi interventi sono come “attacchi positivi” volti a ricostruire senso e significato e partecipano ad un’idea di museo diffuso e potenzialmente espandibile. 

Whatever you want 2021 >

Tramite la comunicazione digitale è possibile avere e sapere tutto e subito, per questo la responsabilità della scelta, del ready made, viene trasferita completamente allo spettatore/acquirente. Lo spazio espositivo rimane completamente vuoto mentre viene chiesto a chiunque di ordinare qualsiasi cosa desideri su Amazon e farla recapitare presso lo spazio espositivo. Il pacco potrà essere ritirato subito o il suo contenuto esposto temporaneamente. Luca Rossi si trattiene, lascia lo spazio vuoto e chiede allo spettatore/collezionista di fare una scelta, e di rivalutare i propri bisogno in relazione al concetto di opera d’arte. Gli oggetti scelti su Amazon potranno anche essere certificati come opere di Luca Rossi e mimetizzarsi nella vita quotidiana del collezionista, dal momento che lui stesso ha scelto l’oggetto senza alcuna imposizione da parte dell’artista. Ogni scelta potrà aprire a riflessioni inaspettate. 

Order a pizza + IMG Serie 2023 >

Questo progetto unisce due interventi “storici” di Luca Rossi. La modifica di un comunicato stampa ufficiale dove Luca Rossi chiede di ordinare una pizza durante l’opening e la durata della mostra. La pizza rappresenta un contenuto standard che diventa “speciale” sono in ragione del luogo dove viene inviato. Come nel caso dei pacchi di Amazon chiunque può fare “una piccola scelta” che può modificare il progetto espositivo ufficiale di una galleria o di un museo. La possibilità di arrivo delle pizze pone lo spazio espositivo in una condizione di costante attesa mentre l’arrivo della pizza può diventare l’innesco per una convivialità, un confronto molto caro nella poetica di Luca Rossi. Successivamente il contenitore delle pizze, svuotato del suo contenuto, diventa il supporto per realizzare un’opera della serie IMG. Ai dipendenti dello spazio o al pubblico viene richiesto di scrivere nei cartoni della pizza IMG e 4 numeri casuali. Il titolo di queste opere è sempre “se non capisci una cosa cercala su YouTube”. Ecco che quello che appare il “grado zero”, il “ground zero” dell’opera d’arte, diventa il varco unico ed esclusivo per una sorta di “Cappella Sistina” contemporanea, capace di resistere al nostro tempo e cambiare ogni giorno.