Partecipa alle Visite Guidate NON CONVENZIONALI di Alberto Angela
Partecipa gratuitamente alla visite guidate in cui Luca Rossi imita “Alberto Anglea” unendo l’arte contemporarea all’improvvisazione teatrale e a uno sguardo critico unico. Verranno realizzate opere date dall’interazione critica e dialogica con i partecipanti.
L’arte contemporanea potrebbe essere una palestra per allenare nuovi occhi, e quindi lo stato dell’arte contemporanea la dice lunga sulla condizione di un paese. E’ un risultato culturale ma anche motore culturale. La nostra capacità di vedere presiede a tutto, alle nostre scelte, alla nostra vita privata, alla percezione del mondo; fino a problemi di stretta e drammatica attualità, dove riconoscere il male in tempo può tenerlo fuori dalla porta e salvarci. Mi riferisco alla violenza sulle donne che è prima di tutto un problema culturale per bambini ed adolescenti educati ad una certo “machismo”, e in seconda istanza per le donne che devono riconoscere in tempo il male, anche quando è celato dietro un insospettabile “faccia d’angelo”.
Ecco la mia ricognizione su 51 artisti nazionali e internazionali che considero significativi per leggere il momento che sta vivendo l’arte contemporanea, e per evidenziare come oggi la crisi del contemporaneo sia qualcosa di internazionale. Non è una classifica ma semplicemente l’ordine in cui mi sono venuti in mente. Alla fine troverete un riferimento che lega il voto ad un prezzo che dovrebbe avere un lavoro standard di questi 51 artisti nella misura di 50×50 cm:
Maurizio Cattelan > Recentemente ennesima grande retrospettiva a Seul dove assistiamo ad una carrellata di tutti i suoi lavori più famosi che però, installati tutti insieme, tendono a depotenziarsi a vicenda. La stessa cosa fatta al Guggenheim di New York nel 2011 era molto più efficace perché metteva tutte le sue opere sospese e quindi in discussione. Questa autoanalisi, al di là della bella provocazione della banana, non ha sortito grandi effetti: l’artista ha realizzato la sua ultima opera significativa solo nel 2001 (Him) e quindi langue da almeno 22 anni. Negli ultimi anni vive di rendita con opere tutte profondamente legate alla sua produzione anni ’90. Pur riuscendo ad avere buone opportunità per sostenere il suo mercato, l’artista, bianco e occidentale, non è riuscito ad aggiornare la sua pratica alla stretta contemporaneità: a parte l’operazione della banana da 120 mila dollari (Comedian, 2019) che comunque è una “non opera”. Aspettiamo da lui qualcosa di più che tante “retrospettive anni 90” in Asia dove l’artista star bianco e occidentale risulta ancora avere buon appeal esotico. Voto 7
Nando Crippa > artista che con grande semplicità e senza virtuosismi o complicazioni post concettuali, realizza dei monumenti al “momento quotidiano”. Ossia quella dimensione che oggi diventa sempre più importante, anche politicamente parlando. Voto 6,5
Eugenio Tibaldi > grande lavoro sulle periferie formalizzato con buona capacità formale. Anche lui ultimamente piegato sulla elaborazione vintage e del mercatino dell’antiquariato. Potrebbe fare di più togliendo quel continuo riferimento “vintage”. Voto 4,5
Gian Maria Tosatti > grande lavoro di pubbliche relazioni che come doping sostengo un percorso artistico acerbo e ricco di lacune tra intenzioni e progetto. Anche lui Sindrome del Giovane Indiana Jones: fissato con la polvere, la ruggine e il vintage. Quando deve formalizzare le opere a parete queste appaiono totalmente derivative di informale e arte povera. Le pubbliche relazioni che ha saputo macinare durante il periodo Covid portano i riflettori su una ricerca che prima del 2020 era presente ma marginale in Italia. In pochi mesi diventa unico artista del Padiglione Italia 2022, Direttore della Quadriennale 2022 e protagonista di un solo show nel 2023 presso Hangar Bicocca a Milano. Tutti questi onori allo stesso tempo in Italia, dove non riusciamo a fare in modo trasparente neanche i concorsi pubblici ultra controllati, e senza un lavoro artistico e un curriculum importanti, fanno necessariamente pensar male. Il suo Padiglione Italia 2022, anticipato da dichiarazioni che definivano la guerra in Ucraina “una cazzata, perché in realtà non ci stiamo evolvendo” (sue parole durante la conferenza stampa del Padiglione Italia 2022), è apparso ricco di contraddizioni, risultando come una costosa e pretenziosa scenografia teatrale. Tosatti parla di “non evoluzione” del sistema occidentale, quando questo dato è sbagliato dal punto di vista storico. Parla di declino industriale italiano quando il mondo dell’industria e lo stato italiano, lo finanziano per oltre due milioni di euro nella produzione del Padiglione. Vorrei sapere quanti paesi non occidentali avrebbero sostenuto un progetto artistico critico verso il paese stesso. Il Padiglione appare ripiegato sul vintage e sulla nostalgia del passato, perseguendo quella che è ormai diventata una facile moda (Sindrome del Giovane Indiana Jones). Le lucciole che Pasolini avrebbe voluto negli anni ’70 in cambio della Montedison, sono finte, artificiali e alimentate dall’energia elettrica, protagoniste di una spettacolarizzazione fine a se stessa quanto poco incidente. Forse questa costosa scenografia (2 milioni di euro) poteva diventare il luogo perché accadesse qualcosa, ma questa, ovviamente, sarebbe stata un’altra storia. Voto 3,5
Silvia Hell > trova attitudine e codici completamente suoi, per nulla derivativa. Questo già tantissimo, ma vorremmo vedere anche altri lavori che mantengono questa forza. Voto 6,5
Giulia Cenci > rimasta ad una dimensione accademica e acerba prima nella rielaborazione informale poi nella scomposizione del corpo. Anche lei estetica archeologica sia essa in stile scavo Pompei o immaginario post industriale. Come Tosatti e Senatore le pubbliche relazioni la spingono a ripetere all’infinito forme deboli che rischiano di cristallizzarsi e diventare un problema. Voto 5
Yuri Ancarani > In pochi giorni e a pochi chilometri di distanza fa due mostre personali, al Mambo di Bologna e al Pac di Milano. Se però spegniamo i proiettori i due musei rimangono vuoti. A dimostrare la crisi del dispositivo opere d’arte che nel lavoro di Ancarani trova stratagemmi narrativi per salvarsi un pochino. Molto sostenuto dallo stesso Cattelan una decina di anni fa (Ancarani era diventato il videomaker delle imprese di Cattelan), riesce ad affermarsi come artista e regista tra cinema e arte contemporanea. Il recente “Atlatide” (più di 100 minuti) appare bolso e lento, cercando di fare il verso allo “stile Sorrentino” che già di per sè presenta non pochi problemi. Altre volte scivola eccessivamente nella dimensione del documentario, come nel film “Leonardo”. L’aiuto di Cattelan, che lo proponeva sistematicamente in molti ambiti (Moma, Guggenheim, Galleria Zero, produzione di film), ha sicuramente aiutato la sua ricerca ma non basta, la magia de “Il Capo” (2010) fatica a ritornare. Voto 4,5
Namsal Siedleki > artista affetto dalla Sindrome del Giovane Indiana Jones in purezza. Ultimamente mette delle tele sotto un ruscello in Francia molto ricco di calcio e saltano fuori tele calcificate in modo intrigante. Germano Sartelli negli anni 50 faceva fare le opere alle tele dei ragni, questa attitudine si chiama “informale” ed è legata a qualcosa che succedeva 70 anni fa. Se il contemporaneo si abbandona nel 2023 a questi linguaggi derivativi diventa “ikea evoluta”, pretenzioso design da interni. Voto 4
Danh Vo > capostipite internazionale della Sindrome del Giovane Indiana Jones, elaborazione archeologica del proprio vissuto con pezzi di archeologia autentica e altre buone soluzioni formali. Voto 5
Jacopo Benassi > trova una temperatura autentica e personale nella fotografia, tra Tillmans e Nan Goldin. Bellissime le sue sovrapposizioni di opere e fotografie, deve solo stare attento a non scivolare anche lui nella moda del vintage. Voto 7
Francesco Gennari > artista che aggiunge qualcosa alla tradizione dell’arte povera, molto belle le opere dove c’è una perdita di controllo fisica o emotiva, come la degenerazione di Parsifal con la farina o l’opera in marmo bianco che sembrano due nevicate che coprono la sua emotività. Voto 7
MSCHF > collettivo americano che rilegge capitalismo e arte anni 90′ in modo distopico e sfidante. Ultimamente arenati troppo sulla vendita di sneakers. Speriamo bene. Voto 7
Marinella Senatore > artista che dichiara istanze partecipative, politiche e femministe in opere e progetti che non contengono queste istanze, ma che si limitano ad essere piacevoli forme di “pop art” come luminarie colorate e feste colorate. Anche lei si affida al doping delle pubbliche relazioni e allo storytelling, sostenuto da curatori e addetti ai lavori, per conferire valore alle sue opere e non farci vedere quello che in realtà sono. Voto 3,5
Giorgio Andreotta Calò > artista super sostenuto in Italia e che non è ancora riuscito ad avere un riconoscimento internazionale, nonostante avesse ottimi sostegni. Anche lui affetto dalla Sindrome del Giovane Indiana Jones: carotaggi da sotto terra, opere informali come le clessidre erose dall’acqua (le tele fatte dai ragni di Sartelli negli anni 50); opere che indagano le profondità dei mari, camminate alla Richard Long e conchiglie marine che sembrano reperti archeologici. Benino il suo Padiglione Italia ma sempre giocato su atmosfere lugubri da scavo nelle profondità. Voto 4,5
Irene Fenara > buona l’idea di fermare momenti “poetici” delle telecamere di sorveglianza, ma serve un corpo di lavoro più diversificato e forse meno contemplativo. Voto 6
Giulio Alvigini > meme e battute pungenti sul mondo dell’arte, sempre sul confine tra satira e opere d’arte. Troppo concentrato a far ridere dei problemi invece che risolverli, soprattutto perchè ridono, spesso e a denti stretti, solo gli addetti ai lavori. Dovrebbe sviluppare più opere d’arte autonome fuori dalla critica istituzionale dei MEME. Voto 5
Diego Marcon > molto sostenuto anche lui, si affida al cinema per creare opere che possano tentare di salvarsi con l’espediente narrativo. Il suo Ludwig, in computer grafica, prima al Premio Maxxi 2018, poi recentemente nel 2023 alla Fondazione Trussardi, si salva per il virtuosismo e l’effetto speciale grafico; ma se Ludwig diventa, per esempio, scultura (come avvenuto da Galleria Zero e Sadie Coles) perde tanto e sembra un’opera di Elmgreen e Dragset di 30 anni fa; anche il video in Biennale (invitato da Cecilia Alemani moglie di Massimiliano Gioni curatore di Trussardi), appare melenso e poco significativo, e anche qui l’espediente degli attori marionetta è uguale all’idea del regista Kaufman che nel 2015, e quindi molto prima dell’opera di Marcon, fa il film Anomalisa. Voto 4,5
Ali Cherri > fresco vincitore del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2022, come migliore artista giovane. Indovinate cosa fa? Statuette di fango che sembrano proprio di un qualche museo archeologico. Super Sindrome del Giovane Indiana Jones, anche con poco esuberanza formale. Voto 4
Haris Epaminonda > vincitrice del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2019, come migliore artista giovane. Parliamo anche qui di una scelta internazionale: anche lei elabora codici e fregi dell’antica grecia. Sindrome del Giovane Indiana Jones in purezza. Sono tutti artisti sfumatura di un unico artista, interessante che i primi a percorrere queste strade siano stati i nostri Flavio Favelli e Francesco Vezzoli in tempi non sospetti. Voto 4
Flavio Favelli > da più di 20 anni e da tempi non sospetti si dedica ad un’ossessiva e appassionata elaborazione del mercatino dell’antiquariato. Ultimamente troppo ripetitivo e ridondante con una sovra esposizione in Italia (è ovunque e in qualsiasi contesto fieristico) che non trova uguale visibilità internazionale dove è fortemente assente. Voto 5
Francesco Vezzoli > da più di 20 anni e da tempi non sospetti di dedica ad un’ossessiva e appassionata elaborazione del glam vintage e ultimamente di reperti archeologici autentici. Non è “la mia tazza di Tè” ma ne apprezzo molto la sua ossessione, che riesce a trovare link con la contemporaneità. Molto efficace in questo senso la sua ultima mostra a Roma a Palazzo delle Esposizioni. Voto 7
Italo Zuffi > forse l’artista più significativo, insieme a Vezzoli, della sua generazione. Ottima idea del Mambo per la sua personale recente. Trova una sua temperatura che restituisce l’eccletismo di fine anni ’90. Voto 6,5
Monica Bonvicini > artista tra i 4-5 italiani che hanno posizionamento internazionale, propone da anni lavoro rigoroso rispetto i rapporti di potere, con cinghie, catene e atmosfere minimal. Negli ultimi anni meno a fuoco e arriva in finale a tre per il Padiglione Italia 2022, poi vinto da Tosatti-Viola. Evidentemente ripresenta questo progetto dopo pochi mesi alla Neue Nationalgalerie diretta da super curator Klaus Biesenbach, sintomo di una generazione di curatori che diventano anche star. Interessante quando chiede al pubblico di rimanere in manette per tot tempo nella sua mostra, ma allora più a fuoco su questo Santiago Sierra. Negli ultimi anni ha vissuto di rendita e non ha sviluppato in modo realmente efficace il suo lavoro. Voto 5
Patrick Tuttofuoco > della generazione di Zuffi perde negli anni l’energia e la vitalità con cui lo conoscevamo, anche con le grandi palle colorate da spingere dentro la Zona di Massimiliano Gioni nel Padiglione Italia “volante” del 2003. Viveva a Berlino oggi torna in italia con buon supporto di pubbliche relazioni con cui vince una serie di bandi dove mette opere al neon di braccia conserte a richiamare l’infinito e mani che si muovono. Altissimo rischio arredo urbano e ikea evoluta per le opere più convenzionali, ormai ripiegate su una facile elaborazione colorata e formalista. Voto 4
Agnes Questionmark > giovanissima artista dalla biografia intrigante che sembra la figlia o nipotina di Matthew Barney. Interessante la sua performance dove rimane per ore immobile, vestita da strana creatura marina, in una teca in centro a Milano. Simbolo di un nuovo panteismo “ggiovane” che fa riflettere rispetto le ragazze della sua stessa generazione che si sporcano di fango per protestare pro clima e contro l’uso di combustibili fossili. Per evitare la deriva sul linguaggio derivativo di Barney, deve sicuramente esagerare e rendere le sue opere sempre più reali e sempre meno rappresentative di un immaginario. Se le opere discendono da attitudini noi queste attitudini possiamo applicarle ogni giorno, se le opere discendono da immaginari ci troviamo davanti ai gadget fini a se stessi di Harry Potter o l’ultimo film Marvel. Voto 5
Tino Sehgal > vera promessa dell’arte contemporanea internazionale degli ultimi 20 anni. Molto bene fino al 2012, poi entra in crisi dilatando le sue performance “solo da vivere dal vivo” e facendole scivolare molto pericolosamente verso una forma di prevedibile e noioso teatro danza. Bellissima la sua opere recentemente nella mostra di Palazzo Strozzi che presentava la collezione Sandretto. Il pezzo migliore della collezione e completamente immateriale e non documentabile. Voto 7,5 (sulla fiducia)
Roberto Cuoghi > recentemente al Friedicianum con una personale che non convince. Lavoro poco a fuoco, tante cose poco incidenti. Anche lui della generazione di Zuffi e perso, negli ultimi anni, in una sorta di archeologia (spesso “marina” e poi ricordiamo i suoi Imitatio Cristi al Padiglione Italia 2017). Anche lui Sindrome del Giovane Indiana Jones con opere che vogliono intrigare come reperti “stranissimi”. Ottimo sostegno del Clan Cattelan fino a passare alla Galleria De Carlo al colosso Hauser and Wirth, dove qualsiasi cosa, butatta nello stand in fiera, assume valore e diventa comunque interessante. Voto 4,5
Luca Bertolo > migliore pittore metà carriere attualmente in Italia. Eclettismo colto e giocoso. Ogni opera sembra fregare una lettura banale della pittura. Ottimo interprete della pittura che io ritengo oggi terza via percorribile con efficacia. Voto 7 +
Chiara Enzo > Pittura intima e iper realista. Ottimo sviluppo di linguaggi derivativi del 900. Non basta. Voto 4,5
Louis Fratino > giovane pittore super cool del collezionismo internazionale che sembra consolare tutti con la pittura sulla crisi dell’opera non pittorica. Riferimenti a Picasso e alla cultura LGBTQ. Secondo me non basta. Voto 4
Cyprien Gaillard > anche lui promessa dalla scena internazionale, e a mio parere non mantenuta. Come Cuoghi lavoro confuso su diverse direttive e necessità di elaborare antico e modernariato per segnare. Voto 4
Claire Fontaine > Pur sviluppando un’azione concettuale interessante, che però rischia di diventare Smart Relativism, permangono all’interno di un recinto culturale elitario che riesce ad affrontare alcune problematiche in modo ristretto e simbolico. Hanno realizzato la scritta sull’abito Dior di Chiara Ferragni: “pensati libera” (citazione non loro…). Tutto bene, ma il rischio è quello di una semplificazione che non considera alcune resistenze politiche e sociali: una mamma che subisce violenza in casa potrebbe non avere la possibilità di “sentirsi libera” per motivi economici, lavorativi e sociali. Ancora una volta l’arte deve fare un lavoro culturale più profondo e complesso se vuole affrontare certe tematiche, al di là dell’effetto spettacolare e simbolico che comunque va benissimo. Voto 5
Paola Pivi > anche lei della generazione di Zuffi e la sua attitudine degli inizi si confonde, per esempio con i suoi orsi colorati. Ottimo sostegno dal Clan Cattelan, alti e bassi; bene per esempio il suo progetto per Fondazione Trussardi o la passerella presentata recentemente a Marsiglia. Deve mantenere il suo fuoco più efficacemente. Voto 4,5
Gabrile Chaile > artista molto amato dai curatori cool internazionali e invitato con i suoi grandi forni tradizionali alla Biennale 2022 di Cecilia Alemani. Sindrome del Giovane Indiana Jones che però si salva con una forte autenticità e una resa formale originale. Vorremmo però vedere altro. Voto 6,5
Delphine Valli > artista di origini francesi e di base a Roma. Agisce sullo spazio in modo minimale e molto personale. Vogliamo vedere di più. Voto 6
Francesco Arena > Sindrome del Giovane Indiana Jones riferita alla rielaborazione accademica dell’arte povera. Perfetto per un pubblico e un mercato che hanno già negli occhi l’immaginario dell’arte povera. Troppo derivativo. Voto 3,5
Alice Ronchi > definisce una sua attitudine molto delicata che però rischia di scivolare verso l’ikea evoluta. Deve stare molto attenta. Voto 4,5
Luca Trevisani > bellissimo il suo recente libro. Non riesce a trasferire, recentemente e del tutto, la sua attitudine nelle opere. A mio parere sta ancora cercando. Voto 4
Patrizio Di Massimo > pittura furba e ammiccante per un pubblico internazionale, un po’ come Fratino. Frizzante ma alla lunga si sgasa. Voto 5
Matteo Fato > da una pittura di origine asiatica e fatta di segni, ad una pittura più frontale che vuole essere autentica ad ogni costo. Ma poi per sopravvivere deve trovare piccole stampelle installative, la cassa in mostra, lo straccio sporco del pittore. E quindi queste stampelle alla fine testimoniano la debolezza della pittura stessa. Voto 4
Iva Lulashi > situazioni ambigue e languide che coinvolgono diversi riferimenti in ambienti campestri. Tutto bene ma il rischio è che questa linea non possa sostenere la sua ripetitività, come invece poteva permettersi Morandi, per esempio. Staremo a vedere. Voto 6
Aldo Giannotti > altra scelta a sorpresa del Mambo. Quando la semplicità del tratto e della vignetta diventa un’arma efficace. Nelle opere alti e bassi. Voto 6
Carlo e Fabio Ingrassia > attitudine interessante ma troppo arenati, anche loro, nelle dinamiche concettuali e formali del novecento. Devono mettere tutto in discussione. Voto 5
Massimo Grimaldi > ultimamente elabora strani ritratti su iPad che sembrano discendere da una strana intelligenza artificiale. Ma ormai questi immaginari sono completamente anestetizzati dalla vera intelligenza artificiale capace di qualsiasi virtuosismo visivo. Sono lontani i tempi in cui devolveva il denaro per la mostra a favore di un ospedale di Emergency o dove destabilizzava la natura dell’opera d’arte con la presentazione di brevi testi a parete. Un artista che 10-15 anni fa aveva sicuramente un certa energia indagatrice che però oggi sembra arenata dentro l’iPad, come se l’uso dell’iPad la potesse salvare a prescindere. Voto 4,5
Ryan Gander > Artista concettuale inglese che seguo con grande interesse. Pur nel grande eclettismo riesce sempre a mantenere una temperatura specifica. Alcune piccole scivolate ma sempre da seguire con interesse. Voto 7
Michael E. Smith > Artista che non apprezzavo molto ma che ho imparato ad apprezzare. Il ready made si complica e assume una forte connotazione ambientale, giocando e dialogando con lo spazio. Questo determina un’attitudine e una temperatura specifici e capaci di farci allenare lo sguardo con piccoli slittamenti. Voto 7
Nico Vascellari > artista che ho sempre criticato molto per una sua sovraesposizione in Italia e per un linguaggio che sembrava derivativo di alcune atmosfere alla John Bock che incontra il concertino punk di provincia. In realtà dopo un suo allontanamento dal sistema riesce a definire una sua via indipendente (i concerti nelle case durante il covid, i negozi pop up a Roma e Milano). Molto bene quanto rileva una tensione uomo-animale meno bene quando fa il revival dei primi anni troppo derivativi rispetto gli anni ’90. Oggi sembra tornare al sistema con opere come Falena (presentata al Maxxi e alla Triennale) e che lasciano un po’ a desiderare rispetto all’energia specifica che ci ha fatto intravedere. Voto 5,5
Luis Sal > quello che considero senza dubbio il miglior artista italiano emerso negli ultimi 10 anni. Parte da una consepavolezza della storia dell’arte che però poi viene declinata in modo del tutto personale rispetto la dinamica di visibilità e successo su YouTube. Supera i soliti giri del mondo dell’arte e le giurie di qualità. E determina una sua attitudine specifica che riesce a comunicare con tutti. Forse ultimamente un po’ ripetitivo, aspettiamo un salto di qualità. Voto 7,5
Ludovica Carbotta > interessante agli inizi con opere per una strana idea di città, e poi gli interventi rigorosi e incelofanati ad una collettiva al Mambo. Poi bel progetto per il Premio Maxxi 2018, anche se molto carico di cose. Ma poi, favorita probabilmente da Patrizia Sandretto, fa la Biennale di Venezia del 2019 e si perde in tanti box scultorei, tutti diversi, come esercizi di stile. Si trasferisce in Spagna poi recentemente in un progetto personale da OGR Torino, stesso ambiente che l’aveva sostenuta, e con grandi lavagne ed esperti di ogni settore a parlare. Lavagne ed esperti di ogni ambito danno la sensazione di voler trovare valori ed ogni costo, per poi restituire tutto in una dinamica aperta, troppo, dove si vuole includere tutto e il suo contrario. Poi ancora Lorenzo Balbi la inviterà per una personale al Mambo tramite i fondi Italian Council nel 2024. Balbi sempre formatosi in ambito Sandretto a Torino. Benissimo il sostegno ad oltranza ma prima bisogna fermarsi e avere un lavoro definito e robusto, mentre Ludovica sembra ancora in una dinamica acerba e accademica. Tutte queste opportunità senza un lavoro robusto diventano un boomerang che cristallizza percorsi ancora acerbi. Voto 4,5
Ser Serpas > Artista nata nel 1995 a Los Angeles integra la pittura a sculture che rielaborano il ready made. Sia nei dipinti che nelle sculture emerge un’ attitudine specifica: una sorta di intimità sfrontata e a tratti brutale. Interessante. Voto 6,5
Jeanne Marie Appriou > Artista francese nato nel 1986 e scelto dalla Galleria Massimo De Carlo per Art Basel Unlimited 2023. Esprime perfettamente quello che cerca il collezionismo internazionale quando pensa al contemporaneo: quasi la trasposizione della pittura vintage di Fratino nel tridimensionale della scultura. Opere argentate ed espressioniste, grandi facce che ci guardano un fenicottero argentato dai piedi grandi e materici. I giovani piaccino se esprimono un ritorno all’ordine dal sapore “vintage” e che deve essere riconoscibile e facilmente leggibile. Voto 4,5
Prezzo opere 50×50 cm di questi 50 artisti, a cui andrebbe aggiunto un coefficiente “carriera e mercato” (indicato da 1 a 10 e che può modificare il prezzo in base alla carriera e alle quotazioni di mercato raggiunte da questi artisti):
Da 0 a 2 > 300 euro
Da 2,5 a 4 > 500 euro
Da 4,5 a 5,5 > 1000 euro
da 6 a 7 > 9000 euro
da 7,5 a 8,5 > 18.000 euro
da 9 a 10 > 30.000 euro
Ovviamente il coefficiente “carriera e mercato” può modificare fortemente il prezzo, ed inoltre può essere gonfiato arbitrariamente soprattutto nella parte “carriera” che può essere decisa da poche persone e in modo non necessariamente meritocratico. Per questo motivo in questa ricognizione ho deciso di non mettere questo coefficiente portando i prezzi a valori più puri e autentici. I prezzi sono per gli artisti e NON considerano la parte che solitamente viene corrisposta al gallerista.
LE FAMIGLIE DELL’ARTE ITALIANA
Ho sempre pensato che gli artisti siano il cuore e il frutto di un sistema. La parte che può modificare il sistema ma anche il frutto su cui leggere i sintomi e le malattie del sistema. Dopo 14 anni di analisi quotidiana penso che il problema dell’arte italiana, ma forse anche internazionale, sia di tipo critico-formativo. La critica fuori dalle accademie influenza la fase formativa che è fondamentale per sviluppare percorsi di qualità. Il mercato dell’arte, sempre più forte e pressante, costringe artisti, ancora acerbi e appena usciti dal percorso formativo, a realizzare subito tante opere senza dare agli artisti il tempo per definire modi, atteggiamenti, visioni e attitudini forti. Il sistema li spinge a cristallizzare percorsi acerbi e deboli. Questo è successo a Giulia Cenci, Marinella Senatore e Gian Maria Tosatti. Questi artisti, senza alternative lavorative, devono fare gli artisti ad ogni costo e se possono penetrano un “sistema molle” con il doping delle pubbliche relazioni. In fondo il sistema, fatto di musei, gallerie, curatori, riviste, pubblico e collezionisti, ha bisogno vitale di contenuti. Soprattutto i musei, gallerie e curatori. Quindi si crea, come nel marketing, uno storytelling che assieme al doping delle PR possa creare dei campioni nazionali, questo senza porsi alcuna domanda sulle opere e soprattutto sul rapporto tra intenzioni, opera e contesto.
Ho fatto questo semplice schema per fotografare le famiglie del sistema dell’arte italiano: emerge soprattutto una famiglia forte capeggiata da Maurizio Cattelan e la collezionista Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, poi tre famiglie minori intorno a 3 artisti: Senatore, Tosatti e Vascellari. Le famiglie hanno dei link fra loro ma l’aspetto più interessante è che oltre a sostenere i propri artisti a livello nazionale, non riescono a consolidare le loro scelte a livello internazionale. Questo perchè la competizione internazionale è enorme e gli artisti estremamente simili fra loro. Quindi non emerge nulla con forza, non è mai evidente la qualità di un artista; inoltre ogni nazione tende a sostenere soprattutto i suoi artisti con dinamiche provinciali e quartieriali. Perchè un curatore belga dovrebbe sostenere un artista italiano quando fuori dalla sua porta ci sono 30 artisti di cui alcuni sono amici di bevute? Quindi tendono a vincere le nazioni che hanno cordate di sostenitori più forti e danarose. Ma vista la competizione e artisti estremamente omologati, alla fine, non emerge nulla. Il contemporaneo è in crisi e il mercato tende a sostenersi sul moderno, la riscoperta del moderno e artisti anni ’90. Molto più facilmente ci si aggrappa ad artisti contemporanei che fanno pittura, come Louis Fratino, almeno si parla di pittura che è una tecnica rifugio per il mercato. O artisti giovani, belli ed estremamente conservatori, che semmai fanno opere di un certo piacevole modernariato. Vi suggerisco di cercare il giovane Jeanne Marie Appriou (1986) sostenuto dalla galleria Massimo De Carlo per l’ultimo Art Basel Unlimited. Più che “unlimited” dovremo dire “limited”, molto limited.
Al contrario se la fase formativa venisse riformata ci sarebbe un 90% di opportunità ancora da esplorare per il contemporaneo. Ma soprattutto servirebbe un’azione critica per riformare la formazione e stimolare la divulgazione, ossia la formazione di un gusto tra i pubblico e un gusto di mercato tra i collezionisti. Se adesso piombasse sulla terra un artista di valore con opere di valore probabilmente non verrebbe riconosciuto, perchè negli ultimi anni non è stato sviluppato senso critico per riconoscere la qualità. La velocità di internet permette ancora meno ai giovani artisti di avere tempi di riflessione e decompressione. Oggi fai un’opera in studio e dopo 3 minuti la possono vedere in tutto il mondo etichettandoti in base a quell’opera. Negli anni 70 Kounellis faceva un’opera in studio e probabilmente passavano giorni e giorni prima che qualcuno la potesse vedere. Questo tempo era utile all’artista per ripensare alla sua opera, metterla in discussione, rifarla. Fino ad arrivare ad un’opera che discendesse da un’attitudine forte. L’attitudine forte nel contemporaneo affronta il presente in modo efficace con grande consapevolezza della storia. Le opere di valore precipitano da attitudini di valore che possiamo applicare alla vita di tutti i giorni, cosa che invece non possiamo fare con gli immaginari (su cui invece lavorano molti artisti contemporanei). Gli immaginari sono come i gadget di Harry Potter, possono piacere o meno, ma non si possono applicare alla vita, le attitudini sì. Poi una buona attitudine può creare anche un immaginario, ma questo deve arrivare dopo.
Analisi spietata e corretta per artisti super gonfiati da un mercato fasullo e che, fortunatamente, scompariranno nel tempo.
Very interesting
Complimenti.
Ho letto argomentazioni che molti pensano ma nessuno dice/scrive per non urtare “il sistema”